Gita all’Expo – cronaca di una giornata in coda

Si parte alle 6 del mattino per arrivare a Trenno alle 8 meno 20. E inizia la coda per entrare al parcheggio, che apre alle 8. Quindi si fa la coda per salire sulla navetta, che passa dopo appena 40 minuti di attesa sul marciapiede e comunque non è sufficiente per la fila improponibile di gente che s’è formata nel frattempo.

Quindi si arriva a Roserio, dove si fa la coda per passare i tornelli: scan, metal detector, passaggio a infrarossi delle borse… Sembra l’aeroporto e infatti ti danno anche i passaporti dove far mettere i timbri dei padiglioni che si riescono a visitare.

Noi si decide di partire con il botto: due ore e mezza di coda per il Padiglione Italia. Che quando sei in fila davanti al padiglione di Bergamo – con un tipo che indossa quello che diresti essere un collare degli abitanti di Triballe – la fila scorre che è una meraviglia. E inizi a vedere l’architettura creativa del tuo obiettivo e tra te e te pensi: “ma no! Ma allora non sono due ore e mezza”. Poi arrivi sotto l’albero della vita e capisci: sotto il padiglione ci sono 18 tornanti prima di arrivare alla scala che sale all’allestimento e dove effettivamente finisce la coda. Quando sei lì, non sei ancora nemmeno a metà strada. E mentre ti interroghi su quanto sia stato intelligente mettersi subito in coda al padiglione Italia, passa uno che dice che la situazione è degenerata e chi arriva adesso di ore di coda ne deve fare 3/3 e mezza. E non ti stupisce perché tu tanta gente tutta assieme non l’hai vista mai in vita tua.

Alla fine, entri.

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Allestimenti meravigliosi, il padiglione semplicemente spettacolare. E ti dici: è stata lunga, ma almeno meritava.

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Nota: le foto son pessime, lo so. : )

Usciti dalla coda dell’Italia, ci si fionda in coda per la Cina. Qui la situazione è molto più scorrevole e in soli 35 minuti, si raggiunge l’obiettivo.

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Si passa al pranzo (ristorante indiano nel cluster del riso: valido per 15 € a testa), dove straordinariamente – forse agevolati dall’orario tardo –  non si fa coda e si torna alla rete del padiglione Brasile e poi all’altra coda lunga, quella della Corea, che tuttavia raccomando perché l’allestimento è splendido.

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Il pomeriggio si avvia verso la metà quando entriamo in Thailandia (bello, non ho però foto) dove veniamo accolti dal molteplice e affascinante mondo delle qualità di riso e accomiatati dalla propaganda sfacciata della monarchia.

Ancora un passo in Messico – il primo padiglione “Meh” che abbiamo visitato assieme a quello delle Isole del Pacifico (del resto, se non fai coda, la fregatura sotto c’è!) – e di nuovo immersione di coda per l’Azerbaigian:

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Pausa gelato al Rigoletto – caro, ma valido – e ripartenza.

Il bilancio della giornata, al netto delle code e dello sgomitamento, è più che positivo. Siamo devastati da dieci ore di cammino, una sveglia mattutina da guinness e ore di coda/noia in attesa di poter visitare i padiglioni, ma ne è valsa la pena. Non siamo nemmeno ancora usciti del tutto e già parliamo di quando tornare. Perché tutto in un giorno è impossibile vederlo.

Rimane l’amarezza per la disorganizzazione, perché non esiste che nel 2015 io debba stare piantonata in un posto dove potrebbe piovere, tirare vento, scendere grandine, neve, cavallette e polpette, quando sarebbe molto ma molto più comodo prendere un numero, attivare un servizio a prenotazione con gli smartphone o qualunque altra soluzione diversa dal menarselo fermi per ore. Ore che si potrebbero trascorrere vedendo qualcosa di interessante negli stand o consumando quello che i vari punti ristoro hanno da offrire, se si vuol vedere il risvolto positivo economico.

Comunque, per me, nonostante lo sbattimento, alcuni allestimenti discutibili, la fatica e lo stress da agorafobia, un’esperienza da ripetere.